LA PIETRA DI BOLOGNA

Quello che vi sto per raccontare è un mistero fitto fitto, un enigma che mai si è riusciti a risolvere e che nei secoli ha suscitato un interesse smisurato. Altro che fantasmi. Si tratta di un' iscrizione latina risalente al XVI secolo che si trova a Palazzo San Bonifacio, per capirci quello in via del Santo, che fa angolo con via Gaspara Stampa. La traduzione dal latino recita: "Elia Lelia Crispi né uomo né donna, né androgino né fanciulla, né giovane né casta né meretrice ne pudica, ma tutto ciò; né in cielo né in acqua né in-terra ma ovunque giace. Lucio Agatone Priscio, né marito né amante né parente, non triste né lieto né piangente, questo (né monumento né piramide né sepolcro ma tutto ciò) egli sa e non sa per chi pose".ln testa a questa presunta epigrafe sono scolpite le iniziali D.M. È inutile che vi affrettiate a raggiungere Palazzo San Bonifacio: si tratta di un edificio privato, in cui non entrerete facilmente. Qualora ce la faceste, avreste tutta la mia ammirazione, e anche un po' di invidia. Come sappiamo dunque dell'esistenza di questa enigmatica pietra, se nessuno è riuscito ad avvistarla? Lo sappiamo perché alcune guide autorevoli di Padova la descrissero. Tiè.

Questo "né monumento né piramide né sepolcro" è noto ai più con il nome di "pietra di Bologna". Che nome strambo per una pietra padovana, non trovate? Non c'è trucco non c'è inganno signori, a tutto daremo una spiegazione! Non è vero, ma ci stiamo lavorando su. Il nome è dovuto al fatto che la stessa lapide è stata ritrovata anche a Bologna ed è infatti tutt'oggi conservata nel Lapidario del Museo civico medievale bolognese. Questa risale al Seicento e, ahimè, sembra essere solo una copia dell'originale fatta eseguire dal senatore Achille Volta. Purtroppo l'originale, già allora prossimo alla rovina, andò perduto e nella copia non vennero riportati i versi finali. La realizzazione della prima pietra sarebbe da attribuirsi a un omonimo antenato del senatore, un altro Achille Volta, che Clemente VII nominò commendatario dell' ordine dei frati gaudenti. Achille senior voleva che l'abbazia di Casatalta, dove si trovava l'ordine dei gaudenti, attraesse raffinate compagnie di intellettuali,. alle quali erano offerte -tra le altre cose -numerose iscrizioni. Per cultura generale, sappiate che tali frati vennero posizionati da Dante nel cerchio infernale degli ipocriti. Inoltre, pare che Enrico Scrovegni, proprio quello a cui dobbiamo la famosa cappella, appartenesse a questo ordine e che i gaudenti padovani usassero riunirsi proprio sotto il cielo stel1ato dipinto da Giotto in questo luogo racchiuso dall'Arena. Ma come arrivò a Padova la pietra in questione? Da chi fu voluta? E soprattutto, cosa significa l'enigma? Sono queste risposte a cui nessuno degli studiosi qualificati che se ne occupano è ancora riuscito a dare risposta. La pietra di Bologna è infatti ancora oggi oggetto di vivo interesse e appassionata discussione. Quello che sappiamo è che Palazzo San Bonifacio risale alla fine dell'800 e che in quello stesso luogo precedentemente sorgeva la casa del collezionista padovano Antonio Piazza. Sembrerebbe che quest'ultimo inizialmente la conservasse nella sua villa situata nell'attuale Città Giardino. La faccenda si complica, ma voi non distraetevi, mi raccomando: questa abitazione del Piazza prima era di proprietà del massone veneziano Angelo Querini, amico niente popo di meno che di Casanova e Memmo. E prima ancora? Bella domanda. A noi II Codice da Vinci ci spiccia casa.

Ma non è finita qui. Il testo della pietra è contenuto anche in una lettera scritta dall'arcivescovo di Cagliari Anton Parragues de Castillejo nel 1559 e indirizzata a un tale "doctor Juan paz". Inoltre alcuni umanisti milanesi interpellarono nel 1549 gli studiosi padovani chiedendo un aiuto alla risoluzione dell'enigma. Di risposta ricevettero un libro firmato da uno sconosciuto Michelangelo Mari il cui solo titolo vi dovrebBe distogliere dall'insano desiderio di leggerlo:

Expositio Marii L. Michaellis Angeli super illud antiquissimum aenigma Elia Lelia Crispis quod missum ab illis ingenuis academicis mediolanensibus foit ad celeberrimum gymnasium patavinum pro verae intelligentiae lumine iamdudum expectato.

A ogni modo, la prima testimonianza certa relativa al celebre enigma nella versione bolognese è considerata una lettera del 1567 indirizzata da Jan Van Torre, di nazionalità belga, all'inglese Richard White. Quest'ultimo, tanto per aumentare il vostro mal di testa, fu un nobile cattolico che, per sfuggire alle persecuzioni religiose, venne a studiare diritto proprio a Padova.

In quanto al significato dei versi incisi in questa pietra, neanche a dirlo, le teorie si sprecano: già nel XVII secolo si potevano elencare oltre quaranta diverse proposte di soluzione. Infatti, le caratteristiche dell'enigma hanno fatto sì che questo suscitasse l'interesse di ogni genere di intellettuale: dal musicologo al botanico, dal giurista al medico, dallo storico al filosofo. Aelia Laelie e il suo opposto maschile nelle teorie avanzate negli anni hanno assunto le sembianze di Niobe, della Legge, della Musica, di un eunuco, di tutte le cose esistenti, deIl 'opera alchemica, del Corpo e dell'Anima, del Sole e della Luna, di Bafometto, di una ninfa silvestre, della canapa, dell' idea platonica e di molte altre cose ancora. Alcuni, decisamente meno fantasiosi, opterebbero per un semplice scherzo colto, un divertissement umanistico. Ma devo essere sincera, non vi ho raccontato ancora proprio tutto tutto. Sembrerebbe infatti che questa pietra si trovi anche a Beauvais e a Chantilly, in Francia. Come ve lo spiegate questo?  Buona insonnia.

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tratto da "Misteri e storie insolite di Padova" -Newton Comption editori